Bergamo Brescia 2023
Fondazione Brescia Musei raccoglie per Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura una serie di iniziative dedicate al Ceruti.
Al Castello di Padernello è stato riprodotto il “Ciclo Padernello” – così nominato da Roberto Longhi – dell’artista Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto.
Il ciclo di tele, ricostruito da stampe ad altissima definizione su tela, permette al visitatore di ammirare le opere nel luogo in cui erano raccolte nell’Ottocento: la sala da ballo del Castello di Padernello.

Il Ciclo Padernello
Il Ciclo Padernello o Ciclo di Padernello è stato così denominato dagli studiosi dell’arte italiana della prima metà del Novecento che lo ammirarono nel Castello di Padernello. È composto da quindici dipinti ad olio su tela, di misure abbastanza simili, raffiguranti vecchi mendicanti, portaroli, filatrici, orfane e nani in dimensioni quasi reali, sullo sfondo della campagna o in angoli chiassosi della città e costituisce la testimonianza più alta e completa dell’arte di Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto. L’artista, sicuramente da annoverare tra i più importanti maestri di tutti i tempi, ebbe fortuna come ritrattista, pittore di nature morte e pitocchi tra Veneto, Emilia e Lombardia a cavallo della metà del Settecento. Poi scivolò nell’oblio totale, fino a quando, nel 1930 Giuseppe Delogu scoprì nel Castello di Padernello l’affascinante e commovente quadreria di povertà ed umanità, messa insieme dal Conte Bernardo Salvadego che acquistò i dipinti all’asta della Collezione Fenaroli nel 1882. Il Conte Salvadego,con profonda sensibilità umana che lo rese partecipe delle sofferenze di quegli emarginati e con invidiabile fiuto artistico che anticipò l’apprezzamento dei vertici della critica, non si lasciò influenzare nel valutare le opere dal prezzo abbastanza basso e volle aggiudicarsi la maggior parte dei ventidue quadri raffiguranti pitocchi, esitati in quell’occasione. Collocò poi quel suo trofeo di pittura, umanità e sentimenti sulle pareti spoglie della amata casa di campagna, disadorna e sguarnita in seguito alle divisioni dell’eredità del Conte Gerolamo Silvio Martinengo, ultimo del ramo di Padernello o della Fabbrica. Tra le mura del Castello era stato accolto un paio di anni prima Antonio Tagliaferri per progettare verande e mobili ed è probabile che l’architetto non sia completamente estraneo alla scelta dei dipinti per l’arredo della residenza. I quadri vissero così nelle sale del Castello per decenni nel monotono e tranquillo alternarsi dei rigidi inverni, quando la fossa diventa uno specchio di ghiaccio, e delle estati polverose ed assolate, quando il caldo toglie il respiro, affascinando la cerchia ristretta della famiglia e dei nobili ospiti. Ma subito dopo la segnalazione del Delogu la fama del Ciclo si dispiegò in Europa e raggiunse Parigi dove Vitale Bloch, in una conferenza al Museo del Louvre nel 1934 testimoniava l’assoluta grandezza del Pitocchetto: … Questo artista può essere considerato sullo stesso piano di Louis le Nain. Ma, da italiano, ha più “occhio”, è più incisivo, assoluto, voglio dire caravaggesco… L’anno dopo i quindici quadri, allora divisi tra il Castello ed il Palazzo di città, grazie alla disponibilità del Conte Filippo Salvadego Molin Ugoni,venivano collocati nel Salone al primo piano del Palazzo della Loggia, dominando la Mostra su “La pittura a Brescia nel Seicento e Settecento”, organizzata da Fausto Lechi, Alessandro Scrinzi ed Emma Calabi. Suscitarono così l’entusiasmo di Giuseppe Fiocco e – soprattutto – di Roberto Longhi che esclamò… e, subito dopo, ecco sorgere l’arte stupendamente paesana ed antica del gran Ceruti, il solo che, fra tanti,mostri d’essere finalmente più forte delle classificazioni del tempo, così da reggere al confronto con un moderno a distanza di più d’un secolo… Fu la prima ed ultima volta che il Ciclo apparve nella sua interezza ad un vasto pubblico. Successivamente nell’impresa della riunificazione non riuscirono né la leggendaria Mostra del 1953 su “I pittori della realtà in Lombardia”, né quella parigina al Grand Palais del 1960-1961, né quella monografica del 1987 nella sua Brescia, la patria non anagrafica ma spirituale che l’artista particolarmente amava. Dopo la morte del Conte Filippo Salvadego il Ciclo abbandonò il Castello di Padernello e venne disperso, fino a presentarsi oggi frammentato tra i Musei civici di Brescia, il Museo Lechi di Montichiari, alcuni collezionisti e alcuni discendenti della nobile famiglia veneta.
L’idea della ricomposizione di questo complesso di dipinti, unico nel suo genere e vero monumento della “pittura della realtà”, in una mostra che si snodasse all’interno delle sale di quella che fu per tanti decenni la sua accogliente e rustica dimora, è balenata fin dal primo momento della costituzione della Fondazione Castello di Padernello, che consegna agli amanti dell’arte, agli studiosi e al pubblico un’opportunità per ammirare, attraverso le riproduzioni, il Ciclo nella sua interezza, in uno splendido itinerario d’arte inserito in un viaggio di ricerca e promozione del nostro territorio. Al Castello sarà inoltre possibile trovare una serie di piccoli volumi dedicati alla scoperta del Ceruti, unitamente ad un libro contenente la trascrizione delle tredici conferenze tenutesi a Padernello dai più grandi studiosi del Pitocchetto.
Il portale di Fondazione Brescia Musei raccoglie le iniziative dedicate al palinsesto Ceruti 2023 nell’anno di Brescia Bergamo Capitale Italiana della Cultura, coinvolgendo istituzioni culturali e mete turistiche del capoluogo e della provincia. Una ricca offerta culturale che, partendo dalla città con il suo cuore monumentale e espositivo al Museo di Santa Giulia e in Pinacoteca Tosio Martinengo si sviluppa poi anche presso il Museo Diocesano a partire da marzo e il Museo MarteS di Calvagese della Riviera a partire da maggio.
Tra gli itinerari cerutiani non può mancare il Castello di Padernello, che ha dato il nome al celebre ciclo pauperista del pittore.